Viaggio nel profondo con Mario Romano Ricci


                                                Voi non volete far vedere loro
                                                qualche nuova cosa in particolare
                                                Voi desiderate dare agli altri
                                                nuovi occhi per guardare

 

L’affascinante ricerca alla base degli ideogrammi cinesi è quella della parola perfetta, cheng ming. È la medesima ricerca che accompagna il Samurai nella via del Bushido, dedicata a trovare la perfezione nel fiore di loto.

Così è per l’Identità. Quando diciamo di noi stessi “io sono questo, io sono quello”, non appena pronunciato non siamo più quella cosa. Tale, lo spirito fondante del “vorticismo”, movimento letterario di inizio ‘900, ideato e promosso, al pari dell’“imagismo” nel campo delle arti figurative, da quel gigante poliedrico della cultura mondiale che fu Ezra Pound.

Il percorso intrapreso, per giungere alle riflessioni che seguono, parte da lontano. E, senza ombra di dubbio, è attraversato dalle esperienze dadaiste di Tristan Tzara che, indubbiamente, condussero alla stesura del Manifesto del Surrealismo di André Breton, e ci suscitano il ricordo del poema a quattro voci La parole obscure du paysage intérieur del filosofo Julius Evola, fino alle dirompenti incursioni del movimento futurista. È un percorso che, negli insegnamenti dello studioso di iconologia, Claudio Tessaro de Weth, si propone come un’autentica ricerca del simbolo. Suono e Parola nel suo divenire nello spazio-tempo ma soprattutto al di là di esso. È, innegabilmente, il tentativo di coniugare, risalendo ad un tempo remoto, l’arte, la magia e la scienza.

L’opera di Mario Romano Ricci va, esattamente, in questa direzione ed è frutto di una coincidentia oppositorum tra il biblico “In principio era il Verbo” e la proposizione del Mefistofele goethiano “In principio era l’Azione”, espressione della più profonda anima faustiana europea.

Sfidando il monito nietzschiano “Il deserto cresce. Guai a chi alberga deserti!”, Mario Romano Ricci non si è, affatto, tenuto lontano dal deserto della vita. Anzi, lo ha attraversato coraggiosamente e in solitudine.

Cosciente dei rischi da affrontare e senza una meta precisa da raggiungere, ha intrapreso il viaggio dove il punto di arrivo, l’approdo più importante, è strettamente se stesso. La fonte a cui abbeverarsi va ricercata, infatti, nelle profondità dell’anima. Dissetarsi con acqua sempre fresca, elisir di eterna vita, è esercizio quotidiano per un artista come Mario Romano Ricci che entra in simbiosi con i materiali e i colori delle sue opere, al punto che risulta difficile comprendere la linea di confine tra chi scolpisce e chi è scolpito, tra chi dipinge e chi è dipinto.

Mario Romano Ricci, novello Prometeo, ridona il Fuoco agli uomini.

Attraverso la sua opera, svela un mondo ai più sconosciuto e si fa portatore dell’armonia universale che rimane ancora celata nell’oblio e nella dimenticanza.
Da qui, la realizzazione di una mostra, destinata a lasciare il segno.

Un’esposizione che esalta l’ostinata e filantropica ricerca delle radici dell’identità. Osservando con occhio accorto nel caleidoscopio della storia, Mario Romano Ricci ci ricorda, come J.R.R. Tolkien, che le “radici profonde non gelano”. Un catalogo, quello qui presentato, magistralmente introdotto dal lettore d’arte e scrittore, Giorgio Fogazzi, e tenuto a battesimo da una madrina d’eccezione, Alessandra Grott, la quale porta avanti, con rara intensità e sensibilità, l’opera del marito Cirillo come “combattente dell’arte”.
Ed è proprio nella “trincea” dell’arte che vengono realizzate le opere del presente catalogo. Opere che, anche visivamente, si stagliano verso il cielo, sfuggendo al grigiore contemporaneo, obnubilato da quelle “terre desolate” che T.S. Eliot descrisse magicamente nel suo poema “The Wast Land”. È l’Arte che spezza le catene della cattività terrena ed apre nuovi orizzonti di libertà.

Lo scrittore tedesco, Ernst Jünger, ha dedicato ampio spazio alla ricerca di una dimensione spirituale della libertà: “L’uomo che riesce a penetrare nelle segrete dell’essere, anche solo per un fuggevole istante, acquisterà sicurezza: l’ordine temporale non soltanto perderà il suo aspetto minaccioso, ma gli apparirà dotato di senso. Chiamiamo questa svolta passaggio al bosco e l’uomo che la compie Ribelle”. Appare evidente, dunque, come non ci si riferisca in questo senso al bosco o alla foresta come coordinate meramente spaziali, bensì il richiamo è ad una dimensione interiore, a quel “giardino inaccessibile” intorno al quale il Leviatano si aggira rabbioso perché non vi può accedere. Un’allegoria del potere, quella del Leviatano, che Mario Romano Ricci, per nulla casualmente, ha già utilizzato in passato. Ricci è, infatti, fra coloro che sono già “passati al bosco”.

Ma il bosco è segreto. Heimlich, in tedesco, significa “segreto”. “È una di quelle parole della lingua tedesca – scrive Jünger – che racchiudono in sé anche il proprio contrario. Segreto è l’intimo, ben protetto focolare, baluardo di sicurezza. Ma nello stesso tempo è anche ciò che è clandestino, assai prossimo in quest’accezione all’Unheimliche, l’inquietante, il perturbante. Quando ci imbattiamo in radici simili a questa, possiamo essere certi che vi risuona un’eco della grande antitesi e dell’equazione ancora più grande di vita e morte, alla cui soluzione si dedicano i misteri”.

La radice di questa parola è Heim, che esprime anche il concetto di “casa” intesa come “focolare domestico” che a sua volta forgia l’idea di “Patria”, la Heimat. Ma se per Evola “la mia Patria è dove si combatte per le mie idee”, il nostro pensiero va anche alla Vaterland, alla “Terra dei Padri”. A quell’insieme di memorie e vissuto, di sangue e di suolo, che sono la cinghia di trasmissione tra il passato più remoto e il futuro incombente. La forza primordiale dell’Identità, che torna prepotentemente a farsi spazio in quest’era di confusione e standardizzazione, causata dai ritmi frenetici di un mondo omologato dal rullo compressore del processo globalizzante.

Un mondo conformato alla logica del pensiero unico, dell’uomo a taglia unica, in un mercato unico, che è la tomba della diversità. Quando manca il concetto identitario è inutile, fuorviante e deleterio ricercarlo altrove. Rende solo più ardua la ricerca di se stessi, la diluisce, la disperde, la annacqua nell’indifferenziato. Allontana dal vero anche il ben intenzionato e alla fine lo abbandona in uno stato di lobotomia esistenziale.

Grazie alla preziosa opera di Mario Romano Ricci, si riafferma, al contrario, quel desiderio di ricerca di Identità, lungo il millenario cammino dell’Uomo che, a diverse latitudini spazio-temporali, è da sempre motore immobile della Storia.

È la chiave dell’Eterno ritorno dell’Identico ma non dello “stesso”.

Nella speranza di poter ripensare un giorno, la nostra cara Europa, non solo come “Terra dei Padri” ma anche come “Terra dei Figli”.


Heimlichwald, 14 ottobre 2009

Daniele Lazzeri

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