Pensiamoci.
Si vive in uno strano flusso di suoni e immagini, che dimostra quanto cresca il caos della Modernità riconosciuto già da Walter Benjamin nella Parigi del 1930. Le immagini si muovono, passano, cambiano e si frantumano repentinamente. I linguaggi di tutte le arti, che rispecchiano la complessità dei fenomeni sociali, tendono sempre più a diventare extralinguaggi: ovvero, il significato delle cose non è più definito, sembra superfluo anche solo interessarsene.

L'identità è una definizione forte e oggi permea tutto. Identità del territorio, nazionale, culturale, etnica, ecc.: identità che assomiglia a identico ma vuole essere scudo delle diversità. Identità che adombra termini più appropriati, come carattere e appartenenza, per definire la società europea e la contaminazione fra le culture che la hanno costituita.

È questo il filo conduttore di “Identità, comunità, territorio”, la mostra curata da VXP che ospita le opere più recenti, in prevalenza sculture lignee, di Mario Romano Ricci (Sala Mayer, Pergine Valsugana, dal 31 ottobre al 15 novembre 2009).

L'artista distingue chiaramente l'identità come fenomeno interiore, impalpabilmente e realmente personale. La assegna alla dimensione dello spirito, a forme limpide, non-colori terrosi e delicate campiture in ciano o cuspidi del colore dell'oro. A forme nette, appena mosse.

Su tutto primeggia la linearità disarmante del quadrato e del tetraedro.

Socrate-Platone-Aristotele (ovvero “I filosofi”) è l'opera che propone l'alfabeto figurativo di Ricci assegnandolo al criterio fondamentale, l'extrema ratio, la chiarezza. Per lui la geometria piana o solida ha la semplicità grave e perentoria della forma certa, che significa esattamente se stessa. Ma diventa interlocutoria quando anche l'artista si trasforma in narratore: il tema è sempre la ricerca, l'avvicinamento, la comprensione.

“Homo sapiens”, “Ideologia”, “La matita” sono figurativi nel rispetto virtuoso della tradizione, ora neoclassica o espressionista o vagamente informale. Sono anche i lavori più datati.

È evidente che non può esistere figura senza un luogo di riferimento e per Mario Romano Ricci, aretino, il luogo è quello della sua formazione: la cultura classica latina intrecciata con il vigore umanistico rinascimentale del suo conterraneo più famoso, Piero della Francesca; la luce limpida che nutriva lo spirito del Maestro mentre affrescava  la Leggenda della Vera Croce nella Basilica di san Francesco; le esperienze travolgenti della Scuola Romana negli anni Cinquanta del Novecento.

“Percorso”, “Evoluzione/Divenire”, “Certezza”, “Cattedrale”, “Il ramo d'oro/Omaggio a J. Frezer”, “Ritratto”, “Il Bene e il Male”, “L'amore” portano senza soluzione di continuità verso i monoliti essenziali, “Paradigma” e “Passaggio evidente/La porta d'oro”.

Monoliti cristallini e arcaici di assoluta modernità.

Paolo Zammatteo

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